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Di desiderio, di morte e di scrittura

recensione - perdersi - annie ernaux

“Il 16 novembre 1989 ho telefonato all’ambasciata dell’URSS a Parigi. Ho chiesto di essere

messa in contatto con il signor S. L’operatrice non ha risposto nulla. C’è stato un lungo silenzio, poi la voce di un’altra donna ha detto: ‘Il signor S. è partito ieri per Mosca’. Ho riattaccato subito. Mi sembrava di aver già sentito quella frase al telefono. […]. Il muro di Berlino era caduto da pochi giorni. I regimi instaurati in Europa dall’Unione Sovietica vacillavano uno dopo l’altro. L’uomo che era appena tornato a Mosca era un fedele servitore dell’URSS, un diplomatico russo a Parigi. L’avevo conosciuto l’anno precedente, durante un viaggio di scrittori a Mosca, Tbilisi e Leningrado per il quale lui era stato designato come accompagnatore. L’ultima notte, quella a Leningrado, l’avevamo trascorsa assieme. Tornati in Francia, avevamo continuato la nostra relazione. Il rituale era sempre lo stesso: mi telefonava e mi chiedeva se poteva venire nel pomeriggio o la sera, più raramente l’indomani o il giorno dopo ancora. Arrivava e rimaneva solo poche ore. Le passavamo a fare l’amore […]. Non ho mai saputo nulla delle sue attività che, ufficialmente, erano di carattere culturale. Mi sorprende, oggi, non avergli posto più domande a questo proposito. Né saprò mai cosa sono stata per lui. L’unica cosa di cui sono sicura è il suo desiderio di me […]. Durante quel periodo non ho scritto nulla, a parte alcuni testi che mi venivano richiesti per delle riviste. Il mio unico vero luogo di scrittura è stato il diario che, in modo irregolare, tengo fin dall’adolescenza. Era un modo per sopportare l’attesa dell’appuntamento successivo, per raddoppiare il piacere degli incontri registrando parole e gesti erotici. Soprattutto, per salvare la vita, salvare dal nulla ciò che, tuttavia, gli si avvicina di più […]. Ancora oggi, mi sembra più importante aver annotato, giorno per giorno, i pensieri, i gesti, tutti i dettagli – dai calzini che teneva mentre faceva l’amore al mio desiderio di morire nella sua auto – che costituiscono quel romanzo della vita che è una passione, piuttosto che l’attualità del mondo, di cui potrò sempre trovare prova altrove, negli archivi e nei giornali. Sono consapevole di pubblicare questo diario spinta da una sorta di prescrizione interiore, senza preoccuparmi di ciò che proverà lui, S. A ragione, potrebbe considerarlo un abuso di potere letterario, o addirittura un tradimento. Me lo immagino a reagire sulla difensiva, con una risata o con un moto sprezzante: ‘La vedevo soltanto per farmela’. Mi piacerebbe, invece, che accettasse, anche senza capirlo, di essere stato per mesi, a sua insaputa, questo principio, meraviglioso e terrificante, di desiderio, di morte e di scrittura“.

Così Annie Ernaux, premio Nobel per la Letteratura nel 2022, introduce il lettore al suo romanzo Perdersi (L’Orma, traduzione di Lorenzo Flabbi), un’opera allo stesso tempo delirante e lucidissima, nella quale l’architettura romanzesca, qui squadernata nello sgocciolare di note quasi quotidiane volta a volta esultanti, disperate, annichilenti, gonfie di speranza, o di rabbia, o di ricordi minacciosi e instancabili come avvoltoi pronti a piombare sulla preda moribonda, in qualche modo riassorbe se stessa riducendosi alle dimensioni di un io vivo e tormentato (e tormentato perché vivo, tormentato perché amante e amato). L’occhio di scrive, con una consapevolezza che non è un atto di ribellione bensì un omaggio, autentico e devoto, alle parole e alla responsabilità che portano con sé – “L’obbligo della verità”, scrive Ernaux, “dovrebbe appartenere alla letteratura, non certo alla vita” – non parte dal sé per aprirsi alle cose, al mondo, non ricerca espansioni, non rincorre significati che includano la persona (e con la persona i personaggi altri, i “protagonisti della storia”) nel momento stesso in cui la superano – siamo comunque negli anni in cui il collasso dell’Unione Sovietica è vicino, in cui moltissime cose stanno per cambiare per sempre – ma all’opposto tralascia ogni fatto per ridursi agli spazi privati della vita (le case degli incontri clandestini principalmente, e nelle case i letti e ogni altro angolo in cui si consumavano gli incontri d’amore) per concentrarsi a ciò che in quegli spazi cresceva, respirava (la gioia, la disperazione, il piacere fisico), spasimava (le ore, i giorni d’attesa tra un appuntamento e l’altro), languiva (il lavoro di scrittrice, che non importava più, cancellato dal pensiero ossessivo di S.) e infine andava a spegnersi (la relazione stessa, nata senza speranza).

Perdersi è un tunnel che termina in una strozzatura, una strada che conduce a un precipizio (e che non consente marcia indietro), un ponte con le campate spezzate immobile a fronteggiare il nulla, è la scrittura nuda, scabra, ruvida che omaggia il vero narrandolo così come suona, canta e straziato urla nell’anima, nella carne, nei sensi. Perdersi è un indimenticabile diamante grezzo letterario.

Eccovi l’incipit. Buona lettura.

S…, la bellezza di tutto questo: esattamente gli stessi desideri, le stese azioni di un tempo, nel ’58, nel ’63 e con P.

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