“Deve proprio andare a finire così? La migliore delle speranze per le più eccezionali creature
del pianeta – o, se è per questo, anche per le meno eccezionali – risiede davvero in delle vasche di azoto liquido? Siamo stati messi in guardia rspetto ai comportamenti con i quali mettiamo a rischio le altre specie: non possiamo agire per proteggerle? La chiave di tutto non è provare a intravedere il futuro, individuare i pericoli che abbiamo davanti e cambiare il corso degli eventi per scongiurarli? Lo sappiamo, l’essere umano può essere distruttivo e miope; ma può anche agire in modo lungimirante e altruista. Molte e molte volte, l’uomo ha dimostrato di avere a cuore ciò che Rachel Carson ha chiamato ‘il problema di condividere il nostro pianeta con altre creature’, e di essere disposto a fare sacrifici in nome di queste creature. Alfred Newton ha descritto la carneficina che si stava verificando lungo le coste britanniche: il risultato fu il Sea Bird Preservation Act. John Muir ha denunciato i danni causati alle montagne della California, e il suo gesto ha portato alla fondazione del Parco Nazionale dello Yosemite. Il libro Primavera silenziosa ha messo in luce i pericoli legati all’uso di pesticidi sintetici, e nel giro di un decennio il DDT è stato messo al bando per la gran parte degli usi. (Il fatto che negli Stati Uniti ci siano ancora aquile calve – in effetti il loro numero è in crescita – è una delle conseguenze positive di questo sviluppo). Due anni dopo la messa al bando del DDT, nel 1974, il Congresso ha approvato L’Endangered Species Act. Da allora, l’impegno che la gente ha messo in campo in difesa delle creature presenti nella lista allegata ha […] dell’incredibile. Per fare solo un esempio tra i tanti possibili, a metà degli anni Ottanta la popolazione di condor in California era arrivata a contare solo 22 esemplari. Per salvare la specie – il più grande tra gli uccell di terra del Nordamerica – i biologi della fauna selvatica hanno allevato piccoli condor utilizzando dei pupazzi. Hanno costruito delle linee di alta tensione artificiali per addestrare gli uccelli a non morire folgorati; per insegnare loro a non nutrirsi di spazzatura hanno collegato i rifiuti alla corrente elettrica per poi mandare una scarica di bassa intensità […]. Non sarebbe meglio, sia da un punto di vista pratico che morale, concentrarsi su ciò che può essere fatto e che viene realmente fatto per salvare queste specie piuttosto che immaginare un cupo futuro in cui la biosfera sia ridotta a delle minuscole fiale di plastica? Il direttore di un’associazione di conservazionisti dell’Alaska una volta mi ha posto la questione in questi termini: ‘La gente deve sperare. Io stesso devo sperare. È questo che ci spinge ad andare avanti'”.
In queste pagine finali del suo splendido e terribile saggio, La sesta estinzione (Neri Pozza, traduzione di Cristiano Peddis), meritatissimo Premio Pulitzer, Elizabeth Kolbert chiude il cerchio della sua indagine sullo stato di salute del pianeta (e soprattutto delle specie che lo popolano, molte delle quali ogni giorno scompaiono sotto i nostri occhi senza che ce ne accorgiamo, pur essendo noi la causa della loro distruzione, se non quella diretta di certo la principale tra quelle indirette) tornando all’uomo, l’agente infestante che in un tempo geologicamente irrisorio ha alterato in maniera quasi irreversibile l’equilibrio climatico del mondo, contribuito alla progressiva (e a quanto pare difficilmente arrestabile) acidificazione degli oceani, scardinato la specifica e delicatissima biodiversità di praticamente ogni area geografica importando ovunque specie aliene – cosa che da un lato ha apparentemente aumentato le varietà vegetali e animali di una certa zona finendo però per annientarne tutte quelle forme di vita altamente specializzate che dipendevano, per la loro esistenza, dal mantenimento di un preciso stato delle cose; e dunque a conti fatti operando, sul medio-lungo periodo per una sostanziale uniformità di flora e fauna, cioè per un impoverimento delle forme di vita e della vita in generale – che deve essere considerato non solo come il principale responsabile delle devastazioni in corso ma anche come colui che a tutto questo può reagire, perché ne ha coscienza e possiede i mezzi per intervenire.
La sesta estinzione, con ogni probabilità la più terribile tra quelle che hanno colpito il pianeta (le prime cinque non a caso sono conosciute come Big Five), è spiegata con estrema chiarezza, perfettamente documentata e impossibile da sottovalutare. In ogni capitolo Kolbert affronta uno specifico problema e il quadro generale che emerge dalla sua inchiesta è terrifcante non tanto (e non solo) per le proporzioni ma per la sostanziale indifferenza (causata da mancata conoscenza) nella quale si sta verificando. “Stiamo osservando”, dichara uno dei numerosi scienziati la cui voce e il cui preziosissimo lavoro l’autrice registra con estrema precisione, “proprio in questo momento che un’estinzione di massa può essere causata dagli esseri umani”.
Per nostra fortuna sono molti i libri che bisognerebbe leggere; per personale edificazione, per conoscere ciò che è necessario, per moltiplicare il nostro spazio vitale, la nostra anima (qualsiasi cosa sia) per lo spazio vitale e l’anima di autori e autrici che hanno lasciato impronte che non potranno mai essere cancellate (almeno finché gli esseri umani vivranno): La sesta estinzione è una di queste opere. Leggerla è un dovere.
Eccovi l’incipit.
La cittadina di El Valle de Antón, al centro dello stato di Panama, si trova nel mezzo di un cratere vulcanico originatosi circa un milione d anni fa.