“Nonostante la varietà di catastrofi che ci si prospettano, non c’è ragione di rinunciare alla
speranza. Se adottiamo il punto di vista di Catastrofi a scelta, dobbiamo concludere che […] alcuni disastri sono molto probabili e anche inevitabili, ma avranno luogo in un futuro così lontano che non ha senso preoccuparsene adesso […]; altre catastrofi possono verificarsi nel futuro prossimo, anche domani, ma sono così poco probabili che non ha senso preoccuparsene troppo […]; un ultimo gruppo di catastrofi, infine, sono molto probabili e suscettibili di verificarsi in un futuro immediato. Anche domani. E sono queste che dobbiamo temere. Tuttavia, le catastrofi accomunate da questa doppia pericolosità (sono probabili e anche immediate) hanno inevitabilmente un’origine umana: guerra atomica, sovrappopolazione, inquinamento, esaurimento delle risorse e così via. E se la causa è umana, anche la cura può essere umana. Come ha scritto Asimov in Catastrofi a scelta, il titolo di quel saggio ha essenzialmente questo significato che ‘è nostra facoltà decidere di non avere nessun tipo di catastrofe’”. Con le parole di questa postilla si conclude il volume antologico Catastrofi! (Mondadori, a cura di Giuseppe Lippi) curato da Isaac Asimov, Martin Harry Greenberg e Charles G. Vaugh, una raccolta di racconti e romanzi brevi che in cinque sezioni differenti (dedicate rispettivamente alla distruzione dell’universo, a quella del sole, a quella del nostro pianeta, a quella dell’umanità e in ultimo a quella della civiltà) narrano i più vari e originali accadimenti il cui comune denominatore – volta e volta descritto con i toni di un agrodolce umorismo, le atmosfere cupe del dramma, l’introspettiva complessità della deriva psicologica, il labirintico disordine del viaggio lungo la sottilissima linea che divide la razionalità dalla pazzia, la verità dalla menzogna, e più ancora il possibile da un impossibile al di là di ogni immaginazione che pure si è fatto realtà, lo sguardo a un tempo lucido e allucinato catturato da verità tra loro inconciliabili che le dimensioni parallele, e i mondi che le costituiscono, rendono tragicamente concrete – è, per dirlo con una sola parola, la più definitiva possibile, l’annientamento. Ma come ben argomenta Ballard, citato nell’introduzione al volume, il lettore qui non si trova di fronte a pagine di disperanti canti del cigno, a una “fine di tutto” cui è impossibile sfuggire, qualunque decisione si possa prendere, bensì al suo giocoso, vitale opposto. “Nell’ambito della narrativa”, egli scrive infatti, “lo scrittore catastrofico illustra, nel modo più estremo e letterale, la sfida di Conrad: immergiti nel più distruttivo degli elementi, e nuota! Ognuna di queste fantasie rappresenta un’accusa nei confronti del finito, un tentativo di smantellare le strutture formali del tempo e dello spazio che l’universo ci tesse intorno fin dal momento in cui nasciamo alla coscienza. È l’inflessibilità di quella grande macchina riduttiva che noi chiamiamo realtà che il bambino e il pazzo, con mezzi analoghi, tentano di combattere. Nel racconto catastrofico lo scrittore di fantascienza si unisce loro e usa l’immaginazione per descrivere le infinite alternative che la natura si è dimostrata incapace di inventare. Questa celebrazione delle possibilità della vita appartiene al cuore stesso della fantascienza”.
Così, tra decreti divini che stabiliscono il giungere del Giorno del Giudizio (Isaac Asimov, L’ultima tromba), un esplodere improvviso, inaspettato del sole – “il sole estivo, alto e brillante a mezzogiorno, che all’improvviso esplodeva come impazzito, squarciava i cieli, inceneriva la campagna e i vermi umani in un’unica vampa abbacinante, e faceva evaporare i fiumi, fondeva il cemento, mandava in ebollizione la polvere sotto i piedi… (Lloyd Biggle jr. Il giorno del giudizio) – il precipitare della Terra verso la sua stella, nel frattempo ridottasi a nana bianca – “Circa tremila e cinquecento anni fa […] i nostri antenati vivevano esclusivamente su questo mondo […]. Circa duemila anni fa si scoprì che il sole di questo mondo si sarebbe ridotto a una nana bianca, e nel volgere di poco tempo […]. Ora, è questione di mesi, sta per verificarsi la fine definitiva del nostro vecchio pianeta: esso, infatti, sta cadendo verso il sole con un lento moto a spirale (Edmond Hamlton, Requiem) – lo scatenarsi di glaciazioni di inaudita potenza (Arthur C. Clarke, Lezione di storia) e un cortocircuito di massa della memoria umana, sia di quella a breve termine sia di quella a lungo termine (Robert Silverberg, Come ce la cavammo quando il passato se ne andò), le oltre 500 pagine di questa antologia trasportano il lettore in una impressionante varietà di scenari, invariabilmente donandogli, come ben espresso nella già citata postilla finale, assieme a dettagliatissimi resoconti di naufragi, una lucente scintilla di speranza e soprattutto la più preziosa delle consapevolezze. Vale la pena di riprendere quanto già scritto: se la causa è umana, anche la cura può essere umana.
Eccovi l’incpit. Buona lettura.
L’arcangelo Gabriele trattò la cosa con una certa indifferenza.