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E se fosse l’errore la nostra unica certezza?

Recensione di “La trappola del comandante” di Augusto Carena e Antonio Mastrogiorgio

 

recensione - Augusto Carena e Antonio Mastrogiorgio, La trappola del comandante, Rizzoli
Augusto Carena e Antonio Mastrogiorgio, La trappola del comandante, Rizzoli

Che il pensiero umano, l’attività razionale per eccellenza, possa incorrere (e più spesso di quanto si creda) in fraintendimenti, abbagli, o peggio restare intrappolato in errori anche piuttosto gravi, può apparire paradossale – o semplicemente eccessivo – ma non del tutto inverosimile. Sembra invece impossibile accettare il fatto che questi “infortuni” in massima parte passino inosservati, cioè che al nostro cervello accada di inciampare senza che in noi scattino campanelli d’allarme, reazioni di qualche tipo, strategie per rimediare al danno fatto. Davvero non ci accorgiamo di sbagliare?


A questa insidiosa domanda rispondono (affermativamente) Augusto Carena, ingegnere nucleare e consulente d’impresa, e Antonio Mastrogiorgio, esperto di Comportamento Organizzativo ed Economico, autori di un agile e brillante saggio intitolato La trappola del comandantee dedicato, come recita l’illuminante sottotitolo, a scoprire “gli errori cognitivi che ci impediscono di decidere correttamente”. Aiutandosi (ma soprattutto aiutando il lettore) con numerosi esempi tanto immediati quanto incisivi, Mastrogiorgio e Carena, con la semplicità d’espressione propria del divulgatore esperto, prima illustrano quel che succede, a livello di processi mentali, quando prendiamo una decisione – e qui cominciano a emergere le prime sorprese – poi, con impeccabile consequenzialità, procedono a illustrare in quali incongruenze (bias in termine tecnico, ma gli autori utilizzano anche, di volta in volta motivando e contestualizzando la loro scelta, fallacy ed heuristic) cadiamo, perché, e soprattutto come difendersi da quella che è, a tutti gli effetti, una coazione a ripetere (con buona pace del vecchio adagio “bisogna imparare dai propri errori).

A questo punto, è bene lasciar loro la parola. “Quando prendiamo una decisione, valutiamo una situazione o reagiamo a un intervento esterno, abbiamo […] la possibilità di agire attraverso il classico processo deliberato, in cui normalmente abbiamo a disposizione diverse alternative che esaminiamo più o meno accuratamente, scegliendone al termine una tra le varie. Le decisioni che affrontiamo in questo modo sono numerose, e spaziano dalle più semplici (che cosa mangio a colazione) fino a elevati gradi di complessità (come costruisco la strategia per il prossimo periodo). Ma che parte occupano nella marea di micro e macro scelte con cui sommergiamo la nostra giornata? Tutto sommato, piuttosto piccola. La stragrande maggioranza delle decisioni che assumiamo, in realtà, non coincide con una scelta consapevole tra più opzioni, ma “accade” senza pensarci. Questo vale sicuramente per le reazioni che consideriamo istintive (davanti a un losco figuro che sbuca da un angolo di strada venendoci incontro con un coltello luccicante in mano, “qualcuno” dentro di noi fa accelerare il battito cardiaco e il ritmo di respirazione, portando più ossigeno e nutrimento ai muscoli; riversa adrenalina nel sangue per farlo coagulare più rapidamente nell’eventualità di ferite; sposta la circolazione sanguigna dall’apparato digestivo a quello muscolare, ecc). Ma non solo. “Accadono” anche attività di livello più elevato, in cui l’automatismo è modellato dalle abitudini (dalla guida di un’automobile al modo in cui salutiamo le persone). E “accadono” persino […] processi di livello inaspettatamente alto. Possiamo, semplificando un po’, pensare che queste due modalità decisionali – istintiva e deliberata – siano attuate da due veri e propri “sistemi” che coesistono nella nostra mente”.

Hindsight bias (la tendenza a considerare a posteriori come prevedibile un evento che invece non lo era), confirmation bias (la propensione a dare rilievo alle informazioni che confermano le nostre tesi e non a quelle che le contraddicono), false consensus effect (la convinzione che gli altri siano d’accordo con noi più di quanto lo siano in realtà), base rate fallacy (l’insistenza, nell’esprimere valutazioni di probabilità, a fissarsi su alcuni dati trascurandone altri di maggior importanza), loss aversion (la percezione degli effetti psicologici di una perdita come più gravi di quelli scatenati da un guadagno di pari entità), Lake Wobegon effect (la tendenza a sovrastimare le proprie qualità positive sottostimando al contempo quelle negative)… muovendosi con leggerezza (ma sempre con precisione estrema), gli autori passano in rassegna i punti deboli del nostro ragionare e mostrano gli effetti (a volte drammatici) cui danno vita; così facendo, ci mettono di fronte a una realtà tanto sorprendente quanto (a posteriori, dunque a libro finito) evidente: buona parte di quel che crediamo sotto il nostro controllo in realtà tante volte ci sfugge.

Pensato per coloro che professionalmente sono spesso chiamati a prendere decisioni (non di rado assai critiche), La trappola del comandante è una lettura utile (e piacevole) anche per i non addetti ai lavori. Vale la pena seguire Carena e Mastrogiorgio nel loro viaggio tra le “abitudini mentali” di cui facciamo quotidianamente uso: scoprire che le nostre certezze hanno piedi d’argilla, infatti, potrebbe nuocere un po’ alla nostra autostima, ma è di certo importantissimo per ricalibrarci su basi più solide.

Eccovi l’inizio del volume, uno stralcio della prefazione di Massimo Egidi, Rettore dell’Università Luiss Guido Carli e docente di Economia dell’incertezza e dell’informazione. Buona lettura.

Il visitatore che entra in Palazzo Spada, a Roma, non lontano da Campo de’ Fiori, e percorre il lato sinistro del cortile, si trova di fronte alla celebre prospettiva creata dal Borromini: gli appare una elegante galleria contornata da una sequenza di colonne di notevole lunghezza, al cui termine vi è una statua a grandezza naturale.

Se egli si pone di fronte all’ingrasso della galleria e invita qualcuno a entrare e percorrerla, vedrà quella persona crescere e ingigantirsi a mano a mano che avanza nella galleria: una illusione ottica molto forte che lascia sbalordito lo spettatore.

Non è la persona che cresce, evidentemente, ma siamo noi che compariamo automaticamente la sua dimensione con quella delle colonne, e non ci rendiamo conto che in realtà è la sequenza di colonne che è di altezza decrescente. Grazie alla perfetta costruzione lungo le linee di fuga, si ha l’illusione che la galleria sia lunga circa 40 metri (mentre è di 8) e si valuta che la scultura sul fondo sia a grandezza naturale, mentre in realtà solo 60 centimetri.

Un trompe l’oeil perfetto, che Borromini fu aiutato a creare da un matematico, il Padre Agostiniano Giovanni Maria da Bitonto.  

 

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