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Richiamati in un mostruoso grembo materno

Recensione di “Jude l’oscuro” di Thomas Hardy

 

recensione - Thomas Hardy, Jude l'oscuro
Thomas Hardy, Jude l’oscuro

Orizzonte storico, geografico e soprattutto spirituale, il Wessex è la materia prima dei romanzi di Thomas Hardy. Qui, in un luogo spoglio, indifferente, che pare aver dimenticato da tempo immemorabile ogni idea di bellezza (e scacciato perfino l’ombra della virtù) si dipanano gli intrecci da lui narrati e le vicissitudini di un’umanità disgregata, confusa, in massima parte composta da sconfitti.


Gli eroi dello scrittore inglese – a partire dall’indimenticabile Tess, protagonista dell’omonima opera, già trattata in questo blog – non mancano di coraggio, e la loro morale è limpida, ma è come se fossero prigionieri; legati loro malgrado a una terra chiusa in un eterno presente, immutabile nelle proprie tradizioni, ottusamente fedele a norme che regolano il giusto e l’ingiusto di cui nessuno ricorda più l’origine, questi uomini e queste donne vengono al mondo condannati. Dinanzi a loro non c’è che una scelta: o soffocare le proprie aspirazioni alla libertà, all’autonomia, alla vita, spegnendosi giorno dopo giorno nel silenzio implacabile di un mondo che li ha accolti senza amore, oppure difendere se stessi pagando il prezzo più alto: l’incomprensione, che inevitabilmente sfocia nel disprezzo, di chi ci è più caro (la famiglia) e il forzato allontanamento da coloro cui, pur tra infiniti contrasti, apparteniamo (la comunità). Jude l’oscuro, l’ultimo romanzo di Hardy, al centro di infiammate polemiche già all’indomani della sua pubblicazione, dilata al massimo il “cono d’ombra” del Wessex, trasformandolo, fin dalle primissime pagine, in una sorta di eredità maligna, in una corruzione dell’anima cui non è possibile sottrarsi. Protagonista della vicenda è il giovane scalpellino Jude Fawley, la cui ambizione più grande è studiare, riuscire a farsi accettare in uno dei prestigiosi istituti della vicina città di Christminster (Oxford nella realtà, che l’autore dipinge impietosamente come una fredda cattedrale, uno vuoto scrigno di sapere che si consuma nella stanca riproposizione di cerimonie sempre uguali a se stesse); Jude si impegna al massimo per raggiungere il proprio obiettivo, ma il Wessex, la sua sola presenza, è semplicemente troppo forte perché lui possa farcela. Così un giorno, per puro caso, incontra Arabella, una ragazza di ben scarsa avvenenza e con ancor meno intelletto, ma estremamente furba e determinata, che prima lo seduce e poi, grazie a una ben orchestrata menzogna, riesce a farsi sposare.

Il matrimonio è per Jude l’inizio della fine; Arabella non ci mette molto a mostrarsi per quel che davvero è (non soltanto una persona del tutto priva di qualità e incapace di pensare ad altro che al proprio interesse, ma anche una ragazza spregevole e malvagia), e nel giro di due anni le nozze naufragano. Ma la ritrovata libertà non è che una nuova illusione. Jude, rinfrancato, decide di trasferirsi a Christminster e di riprendere gli studi, mantenendosi grazie al suo lavoro di scalpellino, tuttavia, quel che la città gli offre, giorno dopo giorno, sono solo lavori saltuari e malpagati, perché non c’è spazio, nell’altera Christminster/Oxford, per chi desideri con tutte le sue forze migliorare la propria condizione; i cancelli delle scuole restano chiusi. E a questo primo, meschino rifiuto, la città ne oppone un altro, ben più tragico: Jude, infatti, proprio a Chistminster incontra la cugina Sue e se ne innamora, riamato. La loro relazione, tuttavia, è motivo di scandalo; i due sono parenti, sono divorziati (Jude da Arabella, Sue da un insegnante, Philloston, da lei sposato nel tentativo di resistere all’attrazione provata per Jude), non intendono regolarizzare la loro unione attraverso il matrimonio (perché per entrambi le nozze hanno significato sofferenza e sacrificio) e finiscono per mettere al mondo dei figli. Jude e la sua famiglia vengono isolati da tutti e si ritrovano senza lavoro e senza mezzi di sostentamento: la loro affannosa, commovente corsa verso la libertà è arrivata alla fine. Come un mostruoso ventre materno creato per togliere la vita invece che per donarla, il Wessex ghermisce la coppia, la riprende con sé; nel corso di una terribile notte i loro figli (cui si è aggiunto anche quello che Arabella aveva dato a Jude e di cui lui ha ignorato l’esistenza per anni) si suicidano “per non essere più di peso ai genitori, Sue, spezzata dal dolore, torna da Philloston per espiare i propri peccati e Jude imbocca definitivamente la strada dell’autodistruzione. Morirà prima di raggiungere i trent’anni.

Jude l’oscuro è un romanzo duro, che non risparmia colpi al lettore; la scrittura di Hardy, sobria ed efficace, è di un realismo acuto; severa nella costruzione dei caratteri, sincera fino alla brutalità nella descrizione del contesto sociale in cui si muovono i protagonisti della storia. Le ragioni della malinconia dell’autore, della palpitante sofferenza che emerge dalle sue pagine, sono espresse con estrema chiarezza, e sono inoppugnabili, tuttavia, per quanto vinti, i suoi eroi hanno il dono dell’immortalità. La loro voce è una voce che non si spegne, che il tempo non affievolisce.

Eccovi l’incipit del romanzo. Buona lettura.

Il maestro di scuola stava per lasciare il villaggio e tutti sembravano dispiaciuti. Essendo più che sufficiente per gli effetti che portava con sé, il mugnaio di Cresscombe gli aveva prestato il carretto con il telone bianco di farina, e il cavallo, per trasportare le sue cose alla città cui era diretto, distante una ventina di miglia di lì. Il suo alloggio presso la scuola, infatti, era stato arredato in parte dagli amministratori, e l’unico oggetto ingombrante di sua proprietà oltre alla cassa dei libri era un piccolo pianoforte verticale, da lui acquistato a un’asta l’anno in cui aveva pensato di imparare a suonare uno strumento. Svanito l’entusiasmo iniziale, non aveva mai raggiunto alcuna abilità con i tasti, e da allora l’acquisto era stato per lui fonte di continui fastidi durante i traslochi.

Il parroco, un uomo che non sopportava assistere ai cambiamenti, si era assentato per l’intera giornata. Sua intenzione era di non fare ritorno fino a sera, quando il nuovo maestro fosse già arrivato e sistemato, e tutto fosse tornato come prima.

Il fabbro ferraio, il fattore, e il maestro stesso, stavano nel soggiorno in atteggiamento perplesso davanti allo strumento. Il maestro aveva osservato che, pur se fosse riuscito a caricarlo sul carretto, non avrebbe saputo cosa farne una volta giunto a Chistminster, la sua nuova destinazione, dato che all’inizio si sarebbe cercato un alloggio provvisorio.

Un ragazzetto di undici anni, che aveva assistito pensieroso al trasloco, si avvicinò allora al gruppo degli uomini, e mentre costoro, incerti sul da farsi, si fregavano il mento, arrossendo al suono della propria voce disse: «Mia zia ha una grande cantina, e forse potreste metterlo là finché non avrete trovato dove sistemarvi, signore».

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