Vai al contenuto
Home » Recensioni » La prosa sublime di un cuore in tumulto

La prosa sublime di un cuore in tumulto

Recensione di “All’ombra delle fanciulle in fiore – Alla ricerca del tempo perduto II” di Marcel Proust

Marcel Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore
Marcel Proust, All’ombra delle fanciulle in fiore

Si veste d’amore la memoria di Marcel Proust, narratore e protagonista di All’ombra delle fanciulle in fiore, secondo capitolo del suo capolavoro, Alla ricerca del tempo perduto. L’evocazione del passato, pur senza perdere nulla del suo libero fluire, del suo scorrere in modo quasi indipendente dalla volontà del narratore, ha in questo romanzo un ben preciso polo d’attrazione, un punto di caduta, un “luogo naturale” verso cui dirigersi.

Così, quel muoversi composto della prosa proustiana, che ricorda il leggero incresparsi di uno specchio d’acqua, che tanto somiglia all’impercettibile soffio di voce di un sussurro, finisce per perdersi e ritrovarsi senza sosta nel turbinio di emozioni scatenato da un sentimento universale eppure sconosciuto, e proprio per questo sconvolgente. Proust infatuato di Gilberte (la figlia di Swann e di sua moglie Odette) e poi conquistato dalla “fanciulla in fiore” Albertine è il perfetto parallelo (letterario e umano) di quello conosciuto in Dalla parte di Swann (di cui ho già scritto) al momento del risveglio dei suoi ricordi, quando un’intera vita rompe gli argini del passato e si riversa nell’oggi ridisegnandone forma e senso. In entrambi i romanzi, il lettore si immerge poco alla volta nella tranquillità quasi ipnotica della trama, nel disegno ordinato dei quadri d’ambiente, nella cortese, formale presentazione dei personaggi (introdotti nella storia come fossero invitati a una festa), ma d’improvviso quel che si trova di fronte è uno spettacolo completamente diverso, una scrittura nervosa, impaziente, che si affanna a tradurre il tumulto irrefrenabile di un cuore adolescente, a trovare per i suoi entusiasmi e i suoi tormenti le più limpide forme d’espressione: “Soffiava un vento umido e dolce. Era un tempo che conoscevo; ebbi la sensazione e il presentimento che il giorno di capodanno non fosse un giorno diverso dagli altri, che non fosse il primo d’un mondo nuovo nel quale avrei potuto, con possibilità ancora intatte, rifare la conoscenza di Gilberte come ai tempi della Creazione, come se ancora non esistesse alcun passato, come se fossero state abolite, con i relativi presagi per il futuro, le delusioni che di tanto in tanto mi aveva inflitte: un nuovo mondo nel quale niente di vecchio sarebbe sopravvissuto… niente, tranne una cosa: il mio desiderio che Gilberte mi amasse”.  

Ancora una volta (come già accaduto per Dalla parte di Swann) lascio l’ultima parola su All’ombra delle fanciulle in fiore, o per dir meglio sull’intera opera di Proust, a Carlo Bo, che per l’edizione completa di Alla ricerca del tempo perduto pubblicata da Mondadori nella collana I Meridiani e tradotta da Giovanni Raboni, ha scritto una splendida, ricchissima introduzione. “Non c’è stato dopo Proust un altro romanziere che abbia creduto in questa funzione del romanziere, e cioè del disvelatore e dell’interprete dei sentimenti. Lo stesso Kafka, che pure conduce un’impresa analoga alla sua, trasforma l’indagine in una serie di immagini e prefigura un tempo storico fondato sui fatti del mistero ma ci lascia con un forte sentimento di tragedia insuperabile. Proust non rinuncia, non ha paura: chiuso nella sua stanza, è deciso ad andare a fondo, a intravvedere dei segni e, di più, a dare un senso all’esistenza. C’è – lo ripetiamo – un’umiltà che chi è venuto dopo non avrà più”.

Eccovi l’incipit del romanzo. Buona lettura.
Quando si trattò di invitare a pranzo per la prima volta il signor di Norpois, poiché mia madre si rammaricava che il professor Cottard fosse in viaggio e che Swann non facesse più parte dell’ambiente che lei frequentava, convinta com’era che l’uno e l’altro sarebbero parsi interessanti all’ex-ambasciatore, mio padre replicò che un commensale eminente, uno scienziato illustre come Cottard non poteva mai sfigurare a un pranzo, ma che Swann, con il suo esibizionismo, con la sua abitudine a gridare ai quattro venti anche la più trascurabile delle sue relazioni, era un volgare sbruffone che il marchese di Norpois avrebbe certamente giudicato, secondo il suo modo di esprimersi “pestilenziale”. Questa affermazione di mio padre richiede qualche parola di spiegazione, dal momento che qualcuno ricorderà forse un Cottard decisamente mediocre e uno Swann capace di portare sino al massimo della delicatezza, in fatto di mondanità, discrezione e modestia.
 

2 commenti su “La prosa sublime di un cuore in tumulto”

  1. non credo che sia così arduo tradurre in italiano la prosa di Proust, basa semplificarla sintatticamente lasciando comunque spazio ai suoi interminabili incisi e alle sue infinite proposizioni subordinate… penso si possa fare con una lingua armoniosa come la nostra.

    1. Credo sia una questione di sfumature di significato, che è fondamentale non perdere. La nostra è una lingua splendida, e ci sono traduzioni di autori stranieri che sono meravigliose (penso, solo per fare un esempio, a quelle di McCarthy, o di Céline, per restare alla lingua francese), ma nel migliore dei mondi possibili dovremmo essere in grado di leggere tutto e tutti in lingua originale. Grazie del tuo intervento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *