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Non l’immediato, ma il vero

Recensione di “Fenomenologia dello Spirito” di Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Bompiani

Perché Hegel? Perché affrontare la complessità dell’idealismo e provare a far propria una prospettiva – quella della coscienza, che nel superamento di se stessa e nell’acquisizione di sé come spirito cancella il dualismo tra soggetto e oggetto – che oggi più di ieri appare quasi insensata? Perché, semplicemente, non adottare il punto di vista di Gilbert Ryle e della scuola analitica, che nel rubricare la filosofia hegeliana come errore la qualifica come totalmente inutile?


Perché al di là delle conclusioni cui giunge il lavoro di sistematizzazione del grande pensatore tedesco, ciò che ancora merita attenzione, quel che soprattutto in questo tempo così segnato da un certo genere di conoscenza (che proprio nella contrapposizione tra la realtà che conosce e quella che viene conosciuta ha uno dei suoi fondamenti teorici e pratici) va posto al centro di ogni riflessione che abbia l’ambizione di interrogarsi sul sapere, è quel che è contenuto nelle premesse, e cioè la critica radicale della certezza che accompagna l’immediatezza del dato; in una parola quel processo di “apprendimento delle cose” noto come conoscenza sensibile, base di ogni nostra esperienza. Come ben scrive a questo proposito Silvano Tagliagambe rifacendosi all’esigenza di recuperare l’idealismo hegeliano rivendicata da Wilfrid Sellars, “punto centrale di questa «riabilitazione» è la critica dell’immediatezza e della certezza sensibile, con la quale Hegel apre la Fenomenologia dello Spirito, e che Sellars ripropone e assume come base alla sua critica […] al fondazionalismo empirista che si esprime nel «mito del Dato». Il Dato, in questa accezione, assume la funzione di garante fondamentale della verità di ogni conoscenza: ogni concetto, ogni teoria trovano la garanzia della propria verità e il proprio fondamento solo in riferimento a questo tessuto di materiali conoscitivi originari, evidenti, la cui verità si trasmette, per così dire, a ogni costruzione teorica o concettuale che a partire da lì si allontani lungo regioni più astratte e remote”.

Se dunque consideriamo come atto stesso del filosofare non il percorso che viene compiuto ma l’esplorazione delle condizioni di possibilità del pensare, ecco che la pars destruens della Fenomenologia dello Spirito conserva ancora il proprio ruolo centrale di teoria con la quale misurarsi, di presa di posizione da assumere o da confutare, da adottare o combattere, ma in nessun caso da mettere semplicemente da parte come cosa priva di importanza. “Sulla base della concretezza del suo contenuto”, scrive Hegel con sorprendente chiarezza, “la certezza sensibile appare immediatamente come la conoscenza più ricca, anzi, come una conoscenza infinitamente ricca: infatti, non ci sembra possibile porle né un limite esterno, nello spazio e nel tempo in cui essa si dispiega, né un limite interno, nella divisione in parti di un qualsiasi frammento di questa pienezza. Inoltre, essa appare come la conoscenza più vera, in quanto non ha ancora trascurato nulla dell’oggetto, ma lo ha piuttosto davanti a sé in tutta la sua integrità e completezza. Di fatto, però, tale certezza si rivela proprio come la verità più astratta e più povera. Il suo sapere si riduce soltanto all’enunciazione «esso è», e la sua verità contiene unicamente l’essere della Cosa. In questa certezza, da parte sua, la coscienza è soltanto puro Io, o meglio: Io sono soltanto un puro Questo, e, analogamente anche l’oggetto è solo un puro Questo”.

Coincidente con il Tutto e non semplicemente sua parte (cosa che reintrodurrebbe la dualità, la separazione estrinseca tra conoscente e conosciuto), la verità è dunque qualcosa che esiste unicamente all’interno “del sistema scientifico della verità stessa”, è il processo dialettico dello Spirito che, una volta compiuto, permette allo Spirito stesso di sapersi come tale, di essere autocoscienza perfettamente dispiegata, concetto in sé e per sé, cioè realtà piena proprio perché comprende, in sé, anche l’altro da sé, quell’altro da sé che in ciò che comunemente definiamo conoscenza non è che oggetto inerte semplicemente essente (cioè esistente) cui si contrappone una coscienza altrettanto inerte della quale la sola cosa che si può dire è che è.

Opus magnum di Hegel, soprattutto in quanto prima opera sistematica della sua produzione, la Fenomenologia dello Spirito non è certo uno scritto adatto a tutti; per affrontarlo, una robusta preparazione tecnica è indispensabile; bisogna conoscere tanto la filosofia quanto la storia della filosofia e prepararsi (anche se non lo si è mai abbastanza) a una complessità di esposizione che ha pochi eguali nella “Repubblica del pensiero e della scienza”, tuttavia, come scrive Vincenzo Cicero, curatore e traduttore dell’edizione italiana dell’opera pubblicata da Bompiani, citando Hoffmeister, “La Fenomenologia può essere definita […] come l’alfa e l’omega delle opere hegeliane: da qui Hegel salpò per la prima volta con il proprio vascello per circumnavigare il mondo, forse seguendo la rotta di Ulisse; mentre le sue spedizioni successive, anche se condotte con maggior perizia, si mossero invece, per così dire, nel Mediterraneo. Tutti gli scritti e le lezioni successive di Hegel sono soltanto frammenti della Fenomenologia, la cui ricchezza è custodita, ma in modo incompleto, solo nell’Enciclopedia, e in ogni caso in modo freddo e arido; sono frammenti che però, se consideriamo per esempio la Logica, restano separati dall’idea fondamentale che li pervade, restano di molto indietro rispetto alle molteplici mete prefissate nell’opera anteriore dal così ampio respiro. Nella Fenomenologia il genio di Hegel ha raggiunto la sua vetta più alta”.

Eccovi l’inizio del trattato. Buona lettura.

Il sapere che innanzitutto o immediatamente è nostro oggetto, può essere soltanto quel sapere che è anch’esso immediato, cioè un sapere dell’immediato, dell’essente. Al riguardo, il nostro comportamento dev’essere altrettanto immediato, di modo che questo sapere venga accolto come ci si offre, senza la minima alterazione. L’atto con cui lo accogliamo, dunque, deve prescindere da qualsiasi comprensione concettuale.

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