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La misura del coinvolgimento

Recensione di “Il console onorario” di Graham Greene

recensione - Greham Greene- Il console onorario
Graham Greene, Il console onorario, Mondadori

A distinguere le categorie letterarie di dramma e commedia può essere una robusta linea di confine oppure qualcosa di decisamente più sfumato, labile e poroso, qualcosa che ha molto a che fare con lo stile di scrittura, il ritmo della narrazione, il tono dei dialoghi, la costruzione dei personaggi.

Non si tratta tanto della trama, di quel che si intende raccontare, quanto di una precisa presa di posizione nei confronti della vicenda di cui ci si fa carico; è possibile, sembra chiedersi l’autore, affrontare un certo genere di storia sottolineandone le caratteristiche più divertenti, buffe, ironiche senza tuttavia limitarsi a ciò? Può, una scelta simile, pregiudicarla in qualche modo, o al contrario contribuire a esaltarne i punti di forza? E una volta intrapresa questa strada come è meglio proseguire? Cercando un sostanziale equilibrio tra la leggerezza e il suo opposto oppure dando uno spazio maggiore a uno dei due piatti della bilancia e dunque puntando sul suo risvolto più spensierato? Questa sorta di approccio metodologico al romanzo, questo domandarsi cosa sia quel che ci si prepara a mettere in pagina prima di cominciare effettivamente a farlo e soprattutto il suo continuo riverberare nel fluire della storia, quasi che lo statuto di ciò che viene raccontato sia una cosa sola con il procedere degli eventi, coincida con essi, sembra essere il tratto distintivo dei lavori di Graham Greene. Lo si ritrova infatti nel bellissimo Il fattore umano, dove è l’aspetto drammatico a prendere decisamente il sopravvento, in quello che è forse il suo romanzo più noto, Il nostro agente all’Avana (entrambi recensiti in questo blog), che in più di un’occasione muove al riso e in un altro suo capolavoro, Il console onorario, allo stesso tempo cronaca di una lotta politica disperata e di un errore tattico talmente madornale da risultare tragicamente comico. Il console onorario che dà il titolo all’opera è l’anziano e alcolizzato Charley Fortnum, diplomatico britannico senza arte né parte in un paesino dell’Argentina vicinissimo al confine con il Paraguay del generale Stroessner, al cui regime dittatoriale si oppone un pugno di ribelli che opera proprio tra i due Stati. Fortnum, assieme al medico Eduardo Plarr, il cui padre, oppositore di Stroessner, dopo aver agevolato la fuga della moglie e del figlio in Argentina quando Plarr era poco più di un bambino, è stato arrestato e non ha più dato notizie di sé, e a un disilluso e stanco ex insegnante di nome Humphries sono tutto quanto esiste dell’Inghilterra in questo depresso angolo di Sudamerica, ma se il console onorario e Humphries della loro terra natia conservano tracce quasi soltanto nel cognome le cose sono assai diverse per Plarr, inglese per parte di madre (una donna che non ha mai compreso né perdonato la scelta politica del marito e che non ha saputo fare altro che abbandonarsi a uno sterile rancore riservando tutta la sua capacità d’amore e il suo bisogno d’affetto alle golosità della pasticceria locale, a partire dal celebre dulche de leche), ossessionato dalla figura paterna e dalle sua battaglie al punto da dare appoggio clandestino all’operato dei ribelli. Così, è proprio Plarr a ritrovarsi nei guai all’indomani del colpo di mano compiuto dai guerriglieri, i quali, approfittando della visita dell’ambasciatore americano nel paese, decidono di rapirlo, ma per un equivoco sbagliano bersaglio e si ritrovano come prigioniero non l’importante figura diplomatica statunitense – la cui liberazione, nelle loro intenzioni, sarebbe stata subordinata a quella di alcuni prigionieri politici, tra cui il padre di Plarr, detenuti nelle galere paraguayane di Stroessner – bensì l’inutile Fortnum, semidistrutto dall’abuso di whisky ma in qualche modo salvatosi grazie all’amore per una giovane, Clara, conosciuta nell’unica casa di appuntamenti del luogo e sposata nella sorpresa generale. Fortnum però ignora che Clara ha una relazione proprio con Plarr, né sospetta che la ragazza, che di lì a qualche mese diventerà madre, sia in attesa di un figlio non suo.   

Ed è qui lo spartiacque del romanzo, nel livello di coinvolgimento di Plarr in tutto ciò che accade; è lui infatti l’autentico protagonista della storia. Lui, il cui senso di giustizia è nutrito in egual misura dal ricordo del coraggio del padre, dalle sofferenze dei poveri cui ogni giorno presta le sue cure, dall’inconsistenza delle ricche amanti con le quali spende il proprio tempo libero e dall’enigma rappresentato da Clara, l’unica donna nei confronti della quale provi qualcosa di simile all’amore; e ancora dalla tormentata amicizia con i guerriglieri, uno dei quali, suo compagno di scuola, ha un passato da sacerdote ma non essendo riuscito ad accettare una chiesa che accoglie al proprio interno tanto alti prelati compromessi con i peggiori regimi dittatoriali quanto preti come lui, che nel nome di Cristo ha promesso salvezza e giustizia a schiere di disgraziati che non vedranno mai né l’una né l’altra in questa vita (che è la sola vita possibile), si è visto obbligato a imbracciare un mitra e a uccidere; e dalla dignità difesa a ogni costo e a qualsiasi prezzo dal dimenticato romanziere argentino Jorge Julio Saavedra, uno dei più eminenti cittadini del luogo che il resto del mondo ignora ma che ha avuto il coraggio di dedicare alla letteratura tutto se stesso accettando senza battere ciglio l’umiliante insulto del silenzio, e non ultima la rabbia impotente dello stesso Fortnum che, tradito due volte da colui che considerava un amico, scopre dapprima che Plarr è parte del commando che lo ha rapito e che con ogni probabilità lo ucciderà, dal momento che sembra che nessuno, a partire da Stroessner, abbia intenzione di accettare la richiesta dei ribelli e di rilasciare i prigionieri in cambio della sua liberazione, e poi che è l’amante della donna che ama e il padre del figlio che credeva suo. Tra dramma e commedia, tra un Fortnum rapito per errore, un Plarr travolto dagli accadimenti, un Saavedra fatto a pezzi pubblicazione dopo pubblicazione dall’ostinazione con la quale dà vita a libri che nessuno legge, quasi si trattasse della patetica parodia di Crono divorato dai suoi figli, Greene tesse con la consueta maestria un romanzo politico di notevolissima fattura, un congegno narrativo perfetto dove tuttavia l’azione è sempre in secondo piano, sullo sfondo, superata dalle riflessioni, dai pensieri, dai ragionamenti, dagli ideali che sempre dovrebbero guidarla e che qui l’autore mostra in tutta la loro impressionante fragilità.  

Eccovi l’incipit. La traduzione per Mondadori, è di Gabriella Fiori. Buona lettura.

Il dottor Eduardo Plarr se ne stava nel porticciolo sul Paraná fra le rotaie e le gru tinte di giallo, fissando lo sguardo là dove una piuma orizzontale di fumo si adagiava sul Chaco, posata fra le barre rosse del tramonto come una striscia su una bandiera nazionale.

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