Vai al contenuto
Home » Recensioni » Classici Greci e Latini » Hic manebimus optime

Hic manebimus optime


Recensione di “Miti romani” di Licia Ferro e Maria Monteleone

recensione - miti romani - licia ferro - maria monteleone
Licia Ferro, Maria Monteleone, Miti romani, Einaudi

Quando si parla di miti romani, si finisce spesso per guardarsi negli occhi e chiedersi:

‘Ma sono esistiti davvero?’. In altre parole: i Romani possedevano miti, alla maniera dei Greci, oppure no? Sulla questioine i nostri padri classicisti sembrano avere pochi dubbi. I Romani soffrivano di carenze mitiche, al massimo si poteva discutere sulla gravità della sindrome (nessun mito? qualche mito?), ma non sulla sua endemica presenza […]. Come si sa, il termine ‘mito’ deriva direttamente dal greco mythos […]. Con mythos […] i Greci indicavano la ‘parola’, il ‘discorso’, il ‘racconto’. Ma chi si aspettasse di veder definito come mythos esclusivamente il racconto favoloso, sacro, o semplicemente la storia alla quale non si presta fede – tutti significati a cui ci ha abituati la fortuna posteriore di questa parola – resterebbe deluso. Agli inizi della letteratura greca, ossia in Omero ed Esiodo, mythos indica sì discorsi o racconti, ma non quelli incredibili o soprannaturali. Al contrario, nell’epoca arcaica sono definiti mythoi anche racconti o discorsi di carattere indiscutibilmente autorevole […]. Sarà solo nel seguito della cultura greca, con Erodoto e Tucidide, oltre che con Platone, che questo termine comincerà a designare il discorso favoloso, in cui compaiono eventi di carattere meraviglioso: o tali comunque da suscitare il problema della loro credibilità o meno […]. Per i Romani fabula è essenzialmente il discorso raccontato, quello di cui, chi lo enuncia, non si pone come auctor, come fonte prima ed originale; ma come qualcuno che lo trasmette, un anello nella catena. La fabula, discorso che agisce primariamente nella sfera dell’oralità, non riferisce di cose direttamente esperite da chi le racconta […] la fabula racconta ciò che è lontano dall’esperienza di chi lo enuncia: il che non implica però […] che il suo contenuto non possa essere rilevante […] sono fabulae, per i Romani, i mythoi dei Greci, ma lo sono anche i racconti che vengono specificamente dalla loro cultura […]. In definitiva, la fabula / ‘discorso raccontato’ riceve una garanzia di autorevolezza […] dalla presenza di una tradizione specifica, che la sostiene e la definisce allo stesso tempo […]. La mappa della cultura romana è segnata da innumerevoli percorsi narrativi. Seguirli è la cosa più ragionevole e più bella che si possa fare”. Ad aprire il bellissimo Miti romani (Enaudi) di Licia Ferro e Maria Monteleone – titolari entrambe di un dottorato di ricerca in Antropologia del mondo antico all’Università degli Studi di Siena – è il denso saggio di Maurizio Bettini nel quale, oltre a mettere a confronto la cultura mitologica greca, che tutti più o meno conoscono e che si può, di fatto, considerare una sorta di patrimonio comune dell’Occidente, con quella romana, all’apparenza più sfumata, sfuggente, fragile, si va alle radici dell’atto stesso del narrare e dei suoi molteplici significati.

Bettini chiarisce come il mito greco, prima di assumere il significato oggi unanimemente condiviso (e cioè quello di storia affascinante ma a tal punto inverosimile, fantastica, da poter essere addirittura piegata a innocua avventura per bambini, per ragazzi, per giovanissimi), possedeva la cristallina nobilità dell’autorevolezza, dunque un potere di persuasione, una efficacia concreta, un riconosciuto diritto di farsi esempio. E la stessa cosa egli rileva per la versione romana del mito, la fabula (la cui impropria traduzione in italiano, favola, non rende purtroppo oggi più ragione della sua importanza per coloro che questa parola ascoltano), insieme di storie che rievocano tradizioni, appartenenze, valori, che esaltano virtù, che stanno a fondamento di popoli e civiltà. Ecco dunque che in questo senso, dal punto di vista cioè della richezza di un’oralità dove a contare non è tanto quel che è verificabile, il fatto così come si è compiuto, ma ciò che può essere insegnato attraverso la parola, ciò che può dare frutto (e frutto duraturo) grazie all’ascolto, Romani e Greci condividono una medesima, straordinaria eredità; di questo immenso tesoro Miti romani restituisce lo splendore (grazie anche alla felice scelta di ordine cronologico delle vicende), guidando il lettore – cui offre gli occhi del dio Giano, che dal “suo” colle, il Gianicolo, guarda “l’inizio del tempo e dello spazio di Roma” – lungo un cammino la cui gloria maggiore sta nel non avere mai, realmente, fine.

Eccovi l’incipit. Buona lettura.

All’inizio lui c’era già, prima ancora che mari e terre e cieli figurassero il mondo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *