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Il manico della padella


Recensione di “Quel vecchio asso nella manica” di Annie Proulx

recensione - annie proulx - quel vecchio asso nella manica
Annie Proulx, Quel vecchio asso nella manica, Marco Tropea Editore

Se non è stato Dio a creare l’uomo, allora a compiere il miracolo (amesso che di miracolo e

non di maledizione si tratti) è stata la terra. Una terra aspra, dura da abitare, la cui selvaggia bellezza fa pensare a una specie di maligno incantesimo, a un sortilegio capace di affascinare così profondamente da annullare ogni volontà; sembra quasi che le vastissime praterie dinanzi alle quali gli occhi si smarriscono, i cieli smisurati, incontrastato dominio tanto di un sole implacabile quanto di uragani di inimmaginabile potenza che non possono essere fermati, le macchie boscose, rare come oasi nel deserto e tanto fitte da far pensare che, a ogni alba, la notte si rifugi lì, raggomitolata a riposare, in attesa di poter nuovamente sorgere in compagnia di luna e stelle, e non ultimo il canto di sirena del sottosuolo, gorgogliante d’acqua e viscido di petrolio, senza sosta parlino agli uomini, raccontando loro che il prezzo da pagare per continuare a godere di tutto quanto, di tutto ciò che i sensi avvertono, colgono ma che non avranno mai la possibilità di colmare, di cui, in una parola, non si giungerà mai a saziarsi, sia di non toccarlo, se non superficialmente. Esiste, insomma, un cuore della terra, che non appartiene nè mai apparterrà all’uomo, il quale solo in questo modo, solo attraverso una consapevole rinuncia può appartenere, appartenere davvero, autenticamente, alla terra, e sfiorarne il cuore, forse addirittura comprenderne l’essenza. Ed è questa terra, il Panhandle (letteralmente, manico della padella) che si estende tra Texas e Oklahoma, una piatta distesa di nulla e di tutto dove il tempo scorre senza scorrere veramente, dove il presente non è che un’occasione per riunirsi intorno al tavolo di un bar o nel salotto di un ranch un tempo ricco e ora ridotto a un caotico scheletro d’assi che a malapena ricorda una casa, dove ogni costruzione pare trattenere il fiato per non essere costretta a esalare l’ultimo respiro e implodere, crollando su stessa, a ricordare l’epopea dei pionieri, dei lunghi, estenuanti viaggi su carri trainati da muli, a riportare in vita, anche solo per un momento, ragazzi morti troppo giovani, cowboy uccisi dalla fatica, da uno sventurato incontro con un serpente a sognagli, da una febbre per la quale non esisteva cura, quella nella quale viene spedito il volonteroso e goffo Bob Dollar, ragazzo di belle speranze con un’infanzia e un’adolescenza non troppo felici alle spalle – abbandonato dai genitori, fuggiti senza spiegazioni in Alaska e mai più tornati e cresciuto dalla zio – appena assunto da un multinazionale specializzata nell’allevamento intensivo di suini: il suo compito è esplorare quei luoghi e trovare siti adatti ad impiantare nuovie fabbriche per la produzione su larga scala di carne di maiale.

Protagonista e allo stesso tempo figura di secondo piano, Bob Dollar è il personaggio attorno a cui ruota il bellissimo romanzo di Anne Proulx Quel vecchio asso nella manica (Marco Tropea Editore, traduzione di Delfina Vezzoli), la cui prosa, scintillante e vivacissima, si accende di splendore nelle numerosissime descrizioni d’ambiente; nudo e all’apparenza disarmato dinanzi alla buona volontà e all’ingenua fiducia di Bob Dollar, il Panhandle si rivela in realtà enigmatico e misterioso, sfugge alle indagini dell’impiegato al quale è stato raccomandato di lavorare sotto copertura (perché nessuno vuole allevamenti industriali di suini in quella zona, considerati i danni alla salute che causano tanto alla terra quanto alle persone), si fa beffe della sua cautela e intanto lo cattura nella propria rete di racconti, aneddoti, memorie, trasformando un emissario del progresso – il lavoro è progresso, l’industrializzazione è progresso, lo sfruttamento intensivo delle risorse del suolo e ancor più di quelle del sottosuolo è progresso, e il progresso fa bene alla comunità e cos’è il Paese, cosa sono gli Stati Uniti se non un insieme di comunità che altro non chiedono se non di stare sempre meglio? Ecco quanto è stato spiegato a Bob Dollar del suo lavoro – in una persona nuova, qualcuno che il Panhandle non si limita più a percorrerlo allo scopo di stravolgerlo, ma inizia a viverlo e forse persino ad amarlo.

Ricchissimo d’ironia, sorprendente a ogni pagina, Quel vecchio asso nella manica è un romanzo entusiasmante, una storia che si nutre di altre storie, alimentandole mentre le narra e nel medesimo tempo vivendo grazie a esse; un libro dove la trama è tanto essenziale quanto superflua e che scompare alla vista (proprio come Bob Dollar) al crescere del Panhandle, della sua unicità e di coloro che, nel bene nel male, ne sono i suoi orgogliosi figli.

Eccovi l’incipit, buona lettura.

Verso la fine di marzo, Bob Dollar, un venticinquenne ricciuto con la faccia larga da gatto e gli occhi chiari e innocenti orlati di ciglia scure, si trovava a viaggiare nel Panhandle puntando a est sulla Statale 15 del Texas, dopo esser partito da Denver il giorno prima, aver superato il Raton Pass, attraversato la zona dei vulcani spenti del New Mexico nordorientale diretto verso la canna di pistola dell’Oklahoma, e poi una deviazione sbagliata in direzione nord e ore perse prima di ritrovare la strada.

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