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Il legame più forte


Recensione di “Figli e amanti” di David Herbert Lawrence

recensione - david herbert lawrence - figli e amanti
David Herbert Lawrence, Figli e amanti, Garzanti

“[…] Paul era tornato alla madre. Era lei il legame più forte che avesse nella vita. Quando

vi rifletteva, Miriam scompariva nel nulla, non restava per lei che un sentimento vago e irreale. Tutti gli altri, poi, non avevano importanza. C’era un solo posto al mondo che restava solido e non si dissolveva nell’irrealtà: quello dove era sua madre. Ogni altra persona poteva farsi ombra, per lui, svanire nell’inesistenza, ma non la madre, che era il perno e il polo della sua vita, a cui non gli sarebbe stato possibile sfuggire. E gli stessi sentimenti univano a lui la madre, che in lui aveva accentrato tutta la propria esistenza. Tutto sommato, la vita dell’aldilà aveva ben poco da offrire alla signora Morel, che vedeva in questo mondo le uniche possibilità di fare. E il fare era tutto ciò che le importava. Paul avrebbe dimostrato che lei aveva avuto ragione, sarebbe diventato un uomo che niente avrebbe potuto far deviare dal suo cammino, che in qualche modo avrebbe cambiato la faccia della terra. Dovunque egli andasse, lei sentiva che la propria anima lo seguiva. Qualunque cosa facesse, lei sentiva che la propria anima gli era accanto, pronta, per così dire, a dargli una mano. Non poteva sopportare che stesse con Miriam. William era morto, e a tutti i costi voleva tenersi Paul“. Questo drammatico passaggio, a metà romanzo, contiene per intero la vicenda del giovane Paul Morel e di sua madre, protagonisti di uno dei più famosi lavori di David Herbert Lawrence, Figli e amanti (Garzanti, traduzione di Paola Francioli), morbosa e autobiografica cronaca di un amore familiare travolgente e malato, così intenso e soffocante da distruggere tutto ciò che arriva a sfiorare. Nel definire la natura del legame che unisce indissolubilmente madre e figlio lo scrittore inglese è come se giungesse a una sorta di approdo letterario, dal quale poi la sua storia proseguirà senza mai muoversi davvero, a dimostrazione di quanto il reciproco attacamento di queste due tragiche figure non possa far altro che condurre entrambe alla sconfitta; ecco dunque il respiro romanzesco mozzarsi di colpo, e i quadri dipinti fino a quel momento da Lawrence svanire poco alla volta. Il tono realistico del romanzo sociale prima di tutto, centrale al principio della vicenda e riassunto nella figura del minatore Walter Morel, capace grazie al proprio spirito e a una bellezza non comune (che tutti i suoi figli erediteranno) di sedurre una ragazza superiore a lui per cultura ed estrazione sociale, di farne una moglie e una madre ma nonostante tutto ciò di condannarla all’infelicità e a una quotidianità fatta di stenti e sacrifici continui; la delicatezza delle descrizioni d’ambiente, con il loro costante richiamo alla perfezione della natura contrapposta al disordinato e violento avanzare della modernità industriale rappresentata proprio dalle miniere, che condannavano gli uomini all’abbruttimento; e infine l’emergere, incerto dapprima, poi sempre più deciso, della passione d’amore, che vede coinvolti Paul e Miriam, una ragazza di non comune sensibilità che dell’amato comprende i moti più segreti, i pensieri più reconditi e che proprio per questo rischia di avere su di lui un influsso maggiore di quello della madre (eventualità che né la donna né suo figlio sono disposti a tollerare).

L’ammissione, o meglio la confessione di Paul e della madre spezza il romanzesco peregrinare di Lawrence e in un istante precipita la vicenda raccontata in un abisso di inconsolabili solitudini; Paul, abbandonata Miriam, alla quale comunque continua a sentirsi legato (di più, a essere certo di appartenere), intreccia una relazione con Clara, sposata e separata (e tuttavia per nulla disposta a divorziare dal consorte), ma anche questa relazione è destinata al fallimento perché nulla può sostituire, nel cuore di Paul, l’affetto che egli prova per la madre che a sua volta, sempre più infelice e sola, dedica ogni energia a quel figlio (il solo non sposato, il solo, tra tutti gli altri, inadatto a una vita propria, autonoma, il solo, per questo, amato fino allo spasimo, ricordo vivente del primogenito perduto prematuramente), trattato come se fosse unico. Così ogni cosa perisce inesorabilmente, finché, al culmine del dramma, non interviene la morte della madre, colpita da tumore, a spazzare via l’innaturale immobilità di esistenze caparbiamente negate alla luce e alla vita. Una morte terrificante, beffarda nel suo lentissimo incedere, che sottopone Paul, l’ormai anziano Walter e il resto della famiglia a sofferenze indicibili e che infine costringe il ragazzo ormai divcenuto uomo a prendere in mano il proprio destino. Anche forse è ormai tardi per questo come per qualsiasi altra cosa.

Eccovi l’incipit, buona lettura.

I Bottoms presero il posto di Hell Row. Hell Row, un ammasso di casupole con il tetto di paglia e i muri rigonfiati, si stendeva sulla sponda del ruscello, in Greenhill Lane. Era abitato dai minatori che lavoravano nei pozzi piccoli, due campi più in là.

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