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Straniero a se stesso


Recensione di “Perché tu non ti perda nel quartiere” di Patrick Modiano

recensione - patrick modiano, perché tu non ti perda nel quartiere
Patrick Modiano, Perché tu non ti perda nel quartiere, Einaudi

Se è vero che ciascuno di noi è il proprio vissuto, altrettanto innegabile è che ciò che si

finisce per essere dipende in egual misura dalle esperienze di cui si serba memoria e che all’oggi sono legate da una continuità che sembra non conoscere né interruzioni né vuoti, né spazi bianchi (quasi che il passato sia una cosa sola con il presente, che l’uno sia sostanzialmente indistinguibile dall’altro, non fosse per la consuetudine grammaticale di indicare il primo con un ben preciso tempo verbale e il secondo con un tempo differente, da cui emerga per l’appunto lo scarto temporale, il procedere degli anni di una vita, la sua dimensione quantitaviva, quella meno importante, meno signficativa, propria di tutte le cose che si limitano a scorrere, nell’incoscienza di quel che accade davvero) e dalle cose che, pur successe, è come se non avessero lasciato tracce nella memoria, come se fossero scomparse. No, non è esatto, non scomparse, perché la sparizione di una qualsiasi cosa presuppone una sua precedente esistenza, una sua concretezza d’improvviso venuta meno, mancata. Dunque non scomparse, bensì mai nate. Qualcosa di non verificato. Un non evento. Tuttavia, si diceva un momento fa, l’esperienza sepolta così a fondo nel proprio essere, scacciata dal ricordo, abbadonata dalle emozioni, esplusa da sé, abbandonata, ripudiata, scaraventata tanto lontano da riuscire irraggiungibile non solo al pensiero ma anche allo sguardo e a ogni altro senso, resta quel che è sempre stata, momento di vita (momenti in realtà, successione di fatti), e il suo esserci, anche se non avvertito – per quale motivo? Paura? Istinto di sopravvivenza? Necessità di difendersi da un trauma? Amnesia selettiva? E in quest’ultimo caso, ancora, quale potrebbe essere la ragione? – condiziona i nostri comportamenti, le scelte, le decisioni, quel che facciamo, quel che diciamo, le parole come i silenzi. Siamo quel che abbiamo vissuto, non v’è dubbio. Ma cosa abbiamo vissuto? A scoprirlo, o meglio a riscoprirlo suo malgrado, è lo scrittore francese Jean Daragane, protagonista del romanzo di Patrick Modiano, premio Nobel per la Letteratura nel 2014, intitolato Perché tu non ti perda nel quartiere (Einaudi, traduzione di Irene Babboni). Il “quartiere” del titolo, simbolo di tutto quel che è conosciuto, su cui facciamo affidamento, espressione delle cose che ricordiamo non solo senza sforzo ma con piacere, cui ritorniamo volentieri, allo stesso modo in cui si fa rientro, spinti dal desiderio e dalla necessità, al saputo tepore di casa per lasciarsi alle spalle il freddo ostile e sconosciuto dell’inverno e con esso lo sguardo estraneo, diffidente del mondo, immediatamente stride con il pericolo rappresentato dal verbo perdere, dall’ombra oscura della smarrita capacità di orientamento, che da un attimo con l’altro trasforma la confidenza di strade, case e palazzi nello straniero, incomprensibile idioma di una città mai vista prima. mutata, per malvagio incantesimo, in inestricabile labirinto.

E labirinto, groviglio, matassa di cose passate che non vogliono saperne di sbrogliarsi, di tornare a galla, alla luce, alla coscienza, alla vita, è quello in cui precipita Daragane nel momento in cui, raggiunto da una telefonata nell’esilio (autoimpostosi da tempo) della sua casa parigina, sente all’altro capo del filo la voce di un uomo che chiede di incontrarlo per restituirgli un taccuino fitto di nomi e indirizzi perso tempo addietro (quando? dove? perché Daragane fatica così tanto a ricordarlo?). Lo scrittore non desidera vedere lo sconosciuto; non ama incontrare gente e poi quel taccuino non lo interessa, quel che c’è scritto non ha più a che fare con la sua vita, ammesso che ne abbia avuto a che fare in passato (a lui non sembra, ma non ricorda…); l’uomo all’altro capo del filo però insiste, considera la restituzione un suo preciso dovere e poi tra quei nomi ce n’è uno che gli interessa particolarmente, legato a un caso di cronaca, a un omicidio… Comincia così, come si trattasse di un giallo, questo romanzo intenso e claustrofobico che si scompone e ricompone senza sosta, come un enigma per il quale non si trova soluzione, come un puzzle che non vuole saperne di ordinarsi in un disegno chiaro; la prosa di Modiano, pulita, sobria, lucida, inciampa a più riprese nella memoria zoppicante, traditrice di Daragane, deraglia nell’oscurità delle motivazioni del suo interlocutore, si perde nella drammatica frammentarietà di notizie sulla sua vita che lo scrittore raccoglie grazie alle confidenze di Chantal, amica, forse amante dell’uomo che lo ha contattato e a sua volta impegnata a nescondere di sé molte più cose di quante sia disposta e rivelare. Ma i ricordi, specie quelli più difficili da ritrovare, sono come sabbie mobili, una volta che ci sei finito non hai alcuna possibilità di liberarti, puoi solo accettare il loro abraccio, per mortale che sia. E così Daragane, spinto da situazioni che non sembrano nemmeno succedere, indaga su se stesso, torna ad anni che non gli appartenevano più (così almeno credeva), a persone che non immaginava di aver mai conosciuto, a una vita che aveva espunto da sé e che ora lo coglie di sorpresa, impreparato, vulnerabile, come un bambino in balia delle incomprensibili (e per lui inevitabili) decisioni degli adulti.

Romanzo in pari tempo colmo d’angoscia e inquietante bellezza, Perché tu non ti perda nel quartiere racconta con accenti di disperata quiete l’ineluttabile realtà dell’uomo, condannato a vivere e morire straniero a se stesso, ostaggio di ciò di cui si illude di disporre completamente: l’esercito in rotta dei propri anni ormai consegnati al giorno declinato per sempre.

Eccovi l’incipit. Buona lettura.

Quasi niente. Come una puntura d’insetto che all’inizio ti sembra molto lieve. O perlomeno è quello che ti ripeti sottovoce per rassicurarti.

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