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Essere radici


Recensione di “La buona terra” di Pearl S. Buck

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Pearl S. Buck, La buona terra, Mondadori

Avere radici, o meglio essere radici, sentirsi, della terra, della sua concretezza, di

ogni sua sostanza, della sua generosità e della sua spietatezza, figli, condiverne l’essenza; essere, in una parola, alla terra debitori della vita. L’uomo nasce e muore per mano di altri uomini, ma questa esistenza in qualche misura estrinseca, lontana dal signficato autentico di ogni cosa, distante dalle sorgenti di ogni vero bene e di ogni vero male, egli non deve confonderla con con la vita vera, perché è di quest’utima, e solo di quest’ultima, che l’essere umano è dimora, anche se per un tempo ridicolmente breve; la vita, la sola che possa essere chiamata con questo nome, che possa con questo nome essere evocata e benedetta, e dunque vissuta, è quella battezzata nella terra, trascorsa nella terra e di terra intrisa. La terra è il luogo materiale e spirituale dal quale si giunge alla luce del mondo e insieme la destinazione che tutti dobbiamo raggiungere, niente può esserci al di fuori di essa. Così legge i suoi giorni – allo stesso modo in cui, ragazzo prima, poi giovane uomo, infine genitore e ora anziano quasi del tutto privo di forze, li lesse suo padre – il contadino Wang Lung, onesto, infaticabile lavoratore pritagonista di La buona terra (Mondadori, traduzione di Andrea Damiano), con ogni probabilità il più celebre romanzo della scrittrice americana premio Nobel Pearl S. Buck. Voce di una saggezza semplice e antichissima, Wang Lung è forse ignorante delle cose del mondo e tuttavia proprio questa generale mancanza di conoscenza, questa disarmante ingenuità verso i cambiamenti che lo scorrere del tempo insinua negli uomini, quasi costringendoli a farsi non più buoni, né più altruisti e neppure più gentili, bensì più furbi, più astuti, più malevoli di chi ha popolato il mondo prima di loro, come se l’ineluttabile invecchiare di tutto quel che è, e del mondo stesso in primo luogo, non potesse portare ad altro che a corruzione, disfacimento e rovina, alla lotta fratricida degli uni contro gli altri, contribuisce a renderlo ciò che ha sempre desiderato essere, un uomo capace di ar crescere in sé quel che ha reso la terra immortale: la sua fecondità che nulla può arrestare, la docilità con la quale accoglie la mano che la lavora, che di lei si prende cura, che le offre soccorso non per calcolo e con l’obiettivo di ottenere un soddisfacimento immediato, ma per gratitudine. La terra appartiene all’uomo quanto l’uomo stesso si appartiene; “[…] dalla terra siamo venuti e alla terra dobbiamo tornare…”, dice un Wang Lung ormai prossimo alla morte ai suoi figli, “Se conserverete la terra, vivrete… Nessuno potrà mai portarvela via…”.

Odissea al tempo stesso pacata e travolgente, dove a dominare sono sincerità di sentimenti, forza di volontà e tenacia, La buona terra narra una vita di famiglia dove il legame tra le generazioni, che mai può fare affidamento sul senso di giustizia degli uomini, minati al loro interno da una fragilitrà morale nei confronti della quale non esiste cura possibile, si mantiene proprio grazie alla terra. Wang Lung, al principio del romanzo prossimo alle nozze, sposa O-Lan, ragazza non bella ma di grande intelligenza, la cui vita, fino al momento del matrimonio, si è consumata in un duro servizio presso una ricchissima famiglia; ben presto si rende conto di quanto la sua scelta sia stata felice. O-Lan lavora instancabilmente, è in grado di occuparsi perfettamente di ogni cosa relativa all’andamento della casa, ha un corpo forte, che le permette di dare al marito molti figli e di non risentire in alcun modo dei parti frequenti; proprio come la terra, O-Lan è la prosperità. E quando agli anni d’abbondanza seguiranno quelli durissimi della carestia, quando la terra amata, rimasta senza il conforto delle piogge, non sarà più in grado di restituire all’uomo il premio delle sue fatiche, sarà ancora O-Lan, donna nata dalla terra, ad aiutare tutta la famiglia, nel frattempo diventata numerosa, ad affrontare e superare la crisi. Neppure nel momento in cui Wang Lung sembrerà dimenticarla O-Lan si sotrarrà ai suoi doveri, perché proprio come la terra, che Wang Lung ha sposato anche in lei, partecipa dell’unica eternità possibile, non quella che si replica nella carne e nel sangue dei nuovi nati ma quella della presenza costante, della forza silenziosa del suolo che attende, attende sempre, incurante dei secoli, che non sono, al suo cospetto, che un soffio di vento subito dimenticato.

Eccovi l’incipit. Buona lettura.

Il giorno degli sponsali era arrivato.

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