Recensione di “Necronomicon” di Howard Phillips Lovecraft
“Il Necronomicon di Abdul Alhazred, indelebilmente associato all’opera di H.P Lovecraft, ma, ormai divenuto di dominio pubblico, è molte cose insieme: un testo di magia evocatoria; una chiave per entrare nel regno dei morti e nelle dimensioni extraterrestri; uno psuedobiblium, cioè un libro che non esiste.
Descrivendone alcune manifestazioni, questa raccolta di racconti lovecraftiani si propone come uno strumento di viaggio verso mete inaudite e un salvacondotto che permetta al lettore di ferrarsi quanto basta per sfuggire alla dannazione del navigatore incauto: di chi cioè, ignorando l’architettura del Libro e del suo universo, si esponga senza precauzioni alle rivelazioni di Alhazred, scriba e poeta dell’inumano […]. La caratteristica principale del Necronomicon è il non dire mai troppo, anzi rivelare a pezzi e bocconi, inducendo l’iniziato a immaginare il resto. Se tutto venisse messo in chiaro, il Libro contravverrebbe a una delle principali regole dell’occultismo, facendo correre gravi pericoli a chi se ne serve (Lovecraft dice, parlando poeticamente, che il lettore impazzirebbe: trovandosi esposto a una cultura completamente estranea – a valori che invece di rinsaldarne i principi negano tutto quello che ha dato per acquisito – si sentirebbe proiettato fuori della propria storia, dei miti tradizionali e della stessa vita) […]. La narrativa lovecraftiana […] punta a una definizione della realtà attraverso la sua inevitabile controparte, l’irreale. Nel mare magnum di elementi storici, invenzioni linguistiche, parentesi magiche di cui è costellata la sua opera, Lovecraft mette ordine sfruttando il proprio amore ‘non tanto per la vita, quanto per l’evasione lontano dalla vita’. Il perno di questo scavo è il Necronomicon, perché si tratta di un testo sapienziale e, contemporaneamente, di un’opera che non esiste; la bibbia del non-è […]. Come nell’opera di un demiurgo, l’inesistente si affaccia sulla soglia e prende vita sotto gli occhi del lettore; le tre dimensioni vengono allargate alla quarta, alla quinta e alla sesta. L’insegnamento è la fondamentale necessità dell’irreale di fronte ai limiti della conoscenza”. Così Giuseppe Lippi introduce la raccolta di racconti lovecraftiani pubblicata sotto l’esoterico, inquietante, fascinoso titolo di Necronomicon (Mondadori), alfa e omega non tanto e non solo della narrativa dello scrittore americano ma di tutto ciò che va oltre le cose che i nostri limitati sensi possono arrivare a conoscere. Il momento della “conoscenza sensibile”, per dirla con le parole della filosofia classica, se considerato attraverso la chiaroveggente insania, la follia forse non saggia ma di certo lucida (cioè in grado di indicare il vero, l’autentico, che vive e respira al di là della limitata realtà fenomenica) di Alhazred, è il “non sapere” socratico gravato dal fardello dell’incoscienza: in una parola è ignoranza, e cioè un esistere d’ombra e di tenebra abbandonato nell’illusoria certezza di una luce che è invece del tutto assente.
Tuttavia sarebbe troppo semplice se il grimorio magico e terribile che è dappertutto e in nessun luogo, che contiene ogni risposta e ogni segreto ma che non può né fornire le prime né rivelare i secondi se non in forma di enigmi, di quesiti che ne richiamano altri, di labirinti le cui vie d’uscita non sono che ingressi in nuovi corridoi, in stanze dalle geometrie impossibili, in cieli e pianeti il cui ordine è il sovvertimento di qualsiasi ordine noto, permettesse, semplicemente attraverso la lettura (come fosse un libro uguale a qualsiasi altro), di cogliere l’al di là, di impossessarsene. Non è così che possono stare le cose; in primo luogo perché non tutti sono in grado di reggere le sconvolgenti rivelazioni dell’arabo pazzo che del Necronomicon è l’estensore (e con esse l’orrore innominabile degli Antichi, dei senza tempo la cui onnipotenza è perversione, il cui culto blasfemia e la cui stessa vita abominio e raccapriccio) e poi perché, proprio per la sua natura di testo ultimo e dunque irraggiungibile, quel che le sue pagine contengono non è che un primo passo, un avvio. Sconvolgente, infatti, è già la scoperta di essere in un reale infinitamente più complesso di quel che si immagina, e questo è proprio quel che il Necronomicon afferma; noi, abitanti della caverna del mito platonico, siamo condannati a giudicare verità l’apparenza, ma la pazzia di Abdul Alhazred può risvegliarci, mostrarci l’impensabile che i nostri sguardi, da soli, non coglieranno mai, nemmeno in miliardi di anni. Ma come qualsiasi altra conoscenza anche questa (anzi questa più di qualsiasi altra, ha un prezzo), e il prezzo è il più alto tra quelli che un uomo può pagare: la rinuncia a che la propria sete di sapere venga placata una volta per tutte.
Detto in altri termini, è forse possibile (anche se solo per un esiguo numeri di eletti, o di maledetti) aprirsi a ciò che è davvero, ai mondi oltre il nostro mondo, ma questo non significa che da qui si giunga a sapere ogni cosa, a “toccare” gli Antichi, a dividere con essi lo spazio che da sempre dominano. Non sono, queste, cose per le limitate forze, e per gli ancor più deboli intelletti, degli esseri umani, e Lovecraft, a un tempo iniziato (nella sua veste di autore) e ignaro di tutto (come lo sono, sempre o quasi, i suoi personaggi), lo ripete a più riprese: non a caso le sue storie si aprono e si chiudono sulla soglia dei più atroci misteri, le sue descrizioni consentono soltanto di intravedere quel che per sua natura non può in alcun modo essere descritto, e le sue parole esauriscono ogni loro potere nel tentativo, sempre frustrato, di avvicinare entità per le quali non esistono termini utilizzabili ma solo nomi d’incubo che evocano l’intollerabile incommensurabilità di abissi senza fine: Cthulhu, Yog-Sothoth, Azathoth.
Eccovi l’incipit del primo racconto del libro. Buona lettura.
Mi sono chiesto più volte se la maggior parte della gente si soffermi a riflettere sul significato dei sogni, che a volte è clamoroso e comunque appartiene a un mondo di oscurità e mistero.