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Un borgesiano labirinto in un luna park


Recensione di “Guida il tuo carro sulle ossa dei morti” di Olga Tokarczuk

recensione - olga tokerczuk, - guida il tuo carro sulle ossa dei morti
Olga Tokarczuk, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti

Non c’è che questo, una purissima scintilla di luce che nel suo viaggio verso la Terra, luogo in

cui avverrà la nascita, dove l’essenza, l’immaterialità assoluta e incorrotta si farà corpo, progressivamente viene spogliata della propria perfezione per diventare un fardello di iniquità e dolore e in questa forma dominata dalla miseria e dal bisogno attraversare il tempo finito e buio della vita. Non c’è che questo, un esistere che procede a fatica, adattandosi come può a condizioni sfavorevoli, ostili, e di fronte ad esso un mondo costituito d’atomi di sofferenza; un diffondersi incontrollato del male, una sorta di epidemia il cui solo possibile argine è un bene che non si presenti disarmato sul campo di battaglia. Non c’è che questo nella visione degli uomini e delle cose della protagonista di Guida il tuo carro sulle odssa dei morti (Bompiani, traduzione di Silvano De Fanti), gioiello letterario di Olga Tokarczuk, Premio Nobel per la Letteratura 2018, l’anziana Janina (nome che la donna odia e rifiuta) Duszejko, insegnante d’inglese ma soprattutto guardiana di un minuscolo villaggio (disabitato per gran parte dell’anno se si eccettuano, oltre a lei, due vicini di casa) polacco situato a poca distanza dalla cittadina di Klodzko. Un villaggio circondato da boschi, chiuso da catene montuose, un luogo dai confini incerti, che in alcuni momenti sembra letteralmente sprofondare nella vicinissima Boemia (come per esempio quando pare impossibile chiamare qualcuno utilizzando il telefono portatile perché la cellula cui l’apparecchio si aggancia è immancabilmente quella del Paese vicino e non, come dovrebbe essere, la sua gemella polacca, quasi che la volontà del villaggio di cambiare bandiera, lingua, tradizioni e cultura si manifestasse in questo modo, con una sottile, strategica manomissione delle comunicazioni) e la cui bellezza ha tanto i caratteri dell’implacabilità invernale – venti gelidi, abbondanti nevicate che rendono quasi impossibile spostarsi – quanto la dolcezza, effimera certo, ma comunque indimenticabile, del verde brillante di prati tanto estesi da sembrare infiniti e di alberi carichi di frutti. Ma questo villaggio, agli occhi della signora Duszejko, abituati a misurare ogni cosa sotto la specie dell’eternità cosmica dettata dall’astrologia, che lungi dall’essere materia di nessun conto, o peggio lucroso passatempo per ciarlatani cui mai vengono a mancare sciocchi ai quali offrire a caro prezzo i fuochi artificiali della propria fraudolenta inventiva, è invece scienza tra le più esatte cui l’uomo possa avvicinarsi, il luogo nel quale vive, è anche teatro di uno scontro simbolico (ma in qualche misura anche di portata universale) tra luce e oscurità. A rappresentare la prima il mondo animale, i cervi, le lepri, i cinghiali le molte specie di uccelli (e gli innumerevoli insetti) che popolano i boschi, solcano la terra, abitano gli alberi, attraversano i cieli; a incarnare la seconda naturalmente l’uomo, creatura che non conosce né rispetta alcun equilibrio, e più ancora quel particolare tipo d’uomo che uccide per divertimento, per far sfoggio, dinanzi a sé e al prossimo, della propria bravura: il cacciatore.

Klodzko di cacciatori è piena, sembrano esserlo tutti in qualche modo: poliziotti, professori, commercianti, persino il parroco, ed è contro questa gente che la donna, da tutti guardata come una matta incapace di controllare i propri scatti d’ira, non smette di scagliarsi. La sua tenacia è ammirevole, tuttavia i risultati che raggiunge sono a dir poco scarsi, finché alcune di queste persone non vengono trovate morte. Si tratta di tragici incidenti? Di certo è una fatalità quella che colpisce la prima vittima, un vicino di casa dell’anziana, un uomo che lei non amava, una persona cattiva, probabilmente implicata in affari poco puliti e, va da sé, un cacciatore (di frodo, quindi un essere se possibile ancora peggiore di coloro che cacciano seguendo le regole, posto che abbia un senso dettare regole da applicare nelle esecuzioni di massa). Ma quando a questo primo dramma cominciano a seguirne altri, ecco che un’altra  verità comincia a farsi strada: e se non fossero incidenti? Se si trattasse di omicidi? E in questo secondo caso, chi è, o chi sono, i responsabili? La signora Duszejko non ha dubbi: a uccidere sono gli animali che hanno deciso di ribellarsi alla mattanza. Gli animali sono stanchi, hanno subito per troppo tempo, sanno che le cose non cambieranno mai (perché l’uomo, purtroppo, rimarrà identico a se stesso come è sempre stato nei secoli, nei millenni; che questo sia il volere di Dio o la sua maledizione è cosa di nessuna importanza; quel che conta è che gli uomini non saranno mai in grado di essere soluzione a nulla dal momento che sono causa di ogni problema) e allora hanno scelto di intervenire. Affinché non siano loro a morire è necessario che i cacciatori vengano annientati. Ma è possibile, è davvero possibile, che una cosa del genere avvenga?

Nelle cadenze di un giallo metafisico, surreale, dove tragico e comico, ordinario e straordinario si fondono fino a diventare indistinguibili (proprio come l’elastico confine tra quell’ignoto angolo di Polonia e la Boemia, capace in ogni momento di sorprendere il viaggiatore, di fargli uno scherzo trasformandolo da cittadino in straniero, restituisce unità a un mondo arbitrariamente reso proprietà privata dall’uomo) il romanzo della Tokarczuk sfida (beffandolo) ogni genere, gioca sulla coltissima leggerezza di una prosa di rara profondità per toccare gli argomenti più diversi, si allontana dai fatti di cronaca narrati fino a un momento prima per poi ripiombare nel pieno del mistero con nuove ipotesi, nuovi sospetti, nuove ricostruzioni che, in una sorta di labirinto borgesiano calato in una chiassosa e (apparente) superficialità da luna park, hanno il potere quasi magico di cambiare radicalmente ogni prospettiva fino a quel momento esaminata. E quando lo scioglimento dell’intreccio arriva, quando tutti i tasselli sembrano finalmente al loro posto, ecco che, come nella circolarità del tempo delle stagioni, le cose in qualche modo ricominciano e la fine muta in un altro inizio. E il romanzo che si è appena chiuso miracolosamente continua, germogliando ancora e ancora nelle infinite suggestioni che pagina dopo pagina ha creato.

Eccovi l’incipit, buona lettura.

Alla mia età, e nelle mie condizioni, prima di coricarmi dovrei sempre lavarmi i piedi con cura, nel caso l’ambulanza venisse a prendermi di Notte.

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