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James Joyce

Il giorno di Leopold

Recensione di “Ulisse” di James Joyce

James Joyce, Ulisse, Mondadori
James Joyce, Ulisse, Mondadori

Il particolare e l’universale, il linguaggio e lo stile, il significato e il simbolo. E il tempo, che è insieme il semplice trascorrere delle ore e la sincronia di eventi diversi, e i richiami all’attualità e alla storia, e il loro mescolarsi alle ossessioni personali, ai traumi, ai pensieri e ai sogni, alle convinzioni, alla letteratura e alla poesia, alle invettive e ai rimorsi, e il loro annegare nel furore delle fedi contrapposte, nel cristiano e nell’ebreo, in quel Dio fatto uomo che non è tutti gli uomini.


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Un tragico destino d’irraggiungibilità

Recensione di “Senilità” di Italo Svevo

Italo Svevo, Senilità
Senilità, Italo Svevo

“Non esiste unanimità più perfetta del silenzio” scrisse nel 1927 Italo Svevo riferendosi, con malcelata amarezza, all’universale indifferenza che accolse la prima pubblicazione di Senilità. Un’accoglienza, o meglio un’assenza di accoglienza, che ferì così profondamente l’animo dell’autore da indurlo a voltare le spalle alla pagina scritta per ben venticinque anni.


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La vana ricerca d’assoluto dell’amore degli uomini

Recensione di “Exiles” di James Joyce

 

James Joyce, Exiles, Edizioni Studio Tesi
James Joyce, Exiles, Edizioni Studio Tesi

Le sotterranee, gelide correnti del dubbio, l’assillo estenuante del sospetto, la volontà disperata di liberarsene (dimostrazione di forza interiore e di coerenza con i propri convincimenti) e il desiderio irresistibile dell’incertezza e della sua tortura, di una sofferenza acuta, terribile, ma comunque preferibile alla definitiva sentenza della verità. Questi gli oscuri, fluidi confini che James Joyce esplora in Esuli, la sua unica opera scritta per il teatro.


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A Dublino, in un vicolo cieco

Recensione di “Gente di Dublino” di James Joyce

James Joyce, Gente di Dublino, Mondadori

Città morente, perduta, dimentica di sé, spogliata di ogni qualità etica e priva di slancio spirituale, la Dublino che James Joyce presenta in Gente di Dublino, una delle sue opere più note, è insieme uno specchio – nelle cui miserie morali e nei cui pregiudizi, notava Ezra Pound, molte altre città potrebbero riconoscersi – e il simbolo della “perduta innocenza” dei suoi abitanti (a loro volta simbolico ritratto dell’uomo inteso in senso generale).


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